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venerdì 27 novembre 2015

Il miracolo di San Giustino

Nella portentosa vita di San Giustino ci fu anche un episodio avvenuto a Fasano, che ebbe per protagonista un nostro concittadino. Lo rivela il libretto San Giustino De Jacobis e Oria, scritto dall’oritano Antonio Benvenuto e pubblicato a cura della Casa della Missione Vincenziana di Oria, per onorare la memoria del Santo che trascorse diversi anni della sua vita terrena nel bel paese brindisino. Giustino De Jacobis, che era nato a San Fele, in Basilicata, il 9 ottobre del 1800, entrò a 21 anni nell’Ordine di San Vincenzo de’ Paoli e, appena terminati gli studi, fu trasferito appunto nella Casa di Oria. Fu proprio dall’antica capitale della Messapia che Giustino irradiò la sua benefica opera di sacerdote e di apostolo della fede sia nel Salento che in Terra di Bari, con avvenimenti che fecero gridare più volte al miracolo. Rifacendosi a un testo di padre Salvatore Pane uscito a Napoli nel 1949, Vita del Beato Giustino De Jacobis, Antonio Benvenuto riporta nel suo libriccino una elencazione di alcuni «fatti mirabili» operati dal futuro Santo, scelti tra i più clamorosi. Sono storie di prodigi, guarigioni, apparizioni, bilocazioni, conversioni impossibili e accadimenti straordinari, che hanno per scenario Monopoli, Erchie, Torre Santa Susanna, Surbo, Monteroni, Lecce, Squinzano e... Fasano. Ecco, nelle parole di Benvenuto, il racconto dell’episodio che ci interessa direttamente, accaduto nel 1831:
«Mentre Padre Giustino era in Monopoli per cominciare un sermone ai fedeli, ivi chiamato dal clero locale, un messo di un suo penitente arrivò di gran carriera informandolo che il suo padrone signor Michele Pepe di Fasano era in imminente pericolo di vita. Terminata la predica, a serata già inoltrata, si mise a cavallo e si diresse a Fasano alla luce di una modesta lanterna che era stata portata dal messo. Ad un tratto un colpo di vento spense la fioca lanterna e si fece buio pesto, essendo impossibile proseguire poiché a causa del cielo coperto nulla era visibile. Il messo, intimorito da quel buio pesto, tremava di paura. San Giustino, che aveva capito la preoccupazione del servo del suo penitente, gli disse di non avere paura e lo invitò alla preghiera, a recitare “Ave Maris Stella”. Appena intonata la preghiera una fioca luce avvolse i due viandanti, consentendo loro di procedere sino alla casa dell’ammalato. Alla presenza dei familiari, Padre Giustino, dopo aver confessato il suo penitente e dopo aver pregato, disse loro di preparargli una tazza calda di brodo, anche perché aveva trovato grazia agli occhi di Dio e per il momento non sarebbe morto. Visse per altri trent’anni. San Giustino da quel giorno fu identificato anche come “Portatore di luce”».
Chi era il “miracolato” Michele Pepe? Forse un parente di Ignazio Ciaia, la cui mamma era una Pepe? Qui necessiterebbe uno specifico approfondimento, che rinviamo ad altra occasione. Fatto sta che Giustino, il quale visse sempre «all’ombra di madonna povertà», andò poi missionario in terra africana e divenne vescovo in Abissinia. Morì nel 1860 dopo una vita interamente spesa al servizio di Cristo e degli uomini. Il processo di beatificazione, iniziato nel 1891, si concluse nel 1939. Il 26 ottobre del 1975, infine, fu fatto Santo dal papa Paolo VI. (g.q.)

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